di Salvo Barbagallo
A osservare con occhio scettico ed opaco, in ultima analisi con occhio disincantato, gli avvenimenti che stanno caratterizzando questo scorcio di fine Anno Domini 2016, c’è da rimanere sconcertati e non perplessi, come sostengono in tanti. Fra meno di due settimane gli Stati Uniti d’America, il “grande Paese” – che da decenni si è (auto)eletto leader e “gendarme” mondiale della stabilità terrestre (?) e oltre – avrà un nuovo Presidente. Hillary o Trump, che si voglia o no, non hanno mostrato il volto dell’affidabilità: gli scontri pubblici che hanno fatto il giro del globo lo hanno dimostrato ampiamente.
Nel clima arroventato degli Usa/pre elezioni, sappiamo tutti che è sbarcato il premier italiano Matteo Renzi e la sua ristretta corte. Le sfavillanti immagini che sono giunte anche in Italia hanno mostrato l’abbraccio (mortale?) tra il premier (Renzi) e un Presidente yankee in uscita che vuole lasciare in eredità (alla Clinton, se sarà eletta) il totale “asservimento” dell’Italia agli Usa. A Obama e a chi lo seguirà è necessario tenere al guinzaglio il nostro Paese, piattaforma militare indispensabile per il controllo dell’area mediterranea e dell’Africa. Non solo. Le munitissime installazioni statunitensi sul territorio nazionale (“stabili” o in “compartecipazione”) sono le più avanzate in Europa in quanto a mezzi (aerei, droni, armi nucleari comprese) e attrezzature elettroniche all’avanguardia (il Muos di Niscemi). Un apparato bellico che, se messo in completa funzione (ora lo è parzialmente) può fronteggiare qualsiasi “pericolo”.
Il “grande Paese” è lontano dall’Italia, e là oltre Oceano, ma l’Italia costituisce la propaggine estrema “difensiva” dal nemico. Il nemico? La Russia, naturalmente, e quanti non sono apertamente schierati con gli Usa. Matteo Renzi rappresenta il Governo dell’Italia, e quindi alla Casa Bianca i tappeti rossi vanno stesi sui suoi passi. Nulla di eclatante, dunque, nella trasferta ameriKana di Renzi che, di certo e nonostante quanto possa dire, non è proprio Amico di Putin e di ciò che Putin rappresenta. Alimentare (direttamente o indirettamente) la “russofobia” in Casa nostra è consequenziale. E non costa nulla, con un amiKo alle spalle come il “grande Paese”. La sovranità nazionale? Si “integra” con l’accoglienza dei migranti/profughi, che già per tanti costituisce un redditizio business.
In questo bailamme la Sicilia non ha voce: chi governa la Sicilia è perfettamente allineato a qualsiasi decisione che viene presa a Roma/Capitale, i Siciliani dormono nel sonno dell’indifferenza. In fondo (tanto in fondo) la Sicilia è un’Isola “felice”, un mondo a sé stante nel quale (di tanto in tanto) per ravvivarla si torna a parlare di mafia, ma quasi mai di disoccupazione, di povertà, di giovani disperati che non riescono a intravedere un futuro perché già il presente è terrificante. Nessuna voglia di reagire, nella consapevolezza che le poche energie rimaste vanno conservate per sopravvivere.
Su Analisi Difesa l’Editoriale del 17 ottobre scorso, Gianandrea Gaiani offre un quadro esauriente dell’attuale e fluida situazione che sta attraversando l’Europa di questi giorni. Segnaliamo questa analisi ai nostri lettori convinti che è utile divulgarla per accrescere conoscenza e coscienza dello stato delle cose.
La Russofobia della Nato e le polemiche per i 140 alpini in Lettonia
di Gianandrea Gaiani
Le opposizioni hanno attaccato duramente il governo Renzi per la decisione di inviare 140 militari (una compagnia di alpini a quanto sembra) nella forza Nato a comando canadese composta da 4 battaglioni che “rassicurerà” i baltici preoccupati dalla nuova guerra fredda con Mosca.
Uno scontro verbale che ha accomunato alle opposizioni anche alcuni esponenti della maggioranza forse spiegabile con le tensioni esistenti in vista del referendum costituzionale ma che, parlando di missioni militari all’estero, avrebbe avuto più senso in relazione ai contingenti dislocati in Afghanistan, alla Diga di Mosul o nella città libica di Misurata dove le nostre truppe sono esposte a consistenti rischi a cui non corrispondono vantaggi o obiettivi operativi da perseguire.
I quattro battaglioni di fanteria schierati sul suolo di Stati alleati della Nato (uno in Polonia e tre in Estonia, Lettonia e Lituania), non altereranno i rapporti di forza lungo i confini con la Russia ma costituiscono solo un dispiegamento simbolico a difesa di membri della Nato che peraltro Mosca non ha alcuna intenzione né interesse ad attaccare (checché ne dica la propaganda anglo-americana).
Del resto già da tempo gli alleati e anche l’Italia provvedono a rotazione e con reparti di caccia (per l’Italia gli Eurofighter Typhoon) rischierati nelle Repubbliche Baltiche a pattugliare i confini aerei della Nato sul Mar Baltico spesso lambiti dai jet di Mosca, considerato che le Repubbliche Baltiche non dispongono di forze aeree da combattimento.
Nella primavera dell’anno scorso un reparto di paracadutisti della Brigata Folgore venne schierato in Lettonia per l’esercitazione Nato Steadfast Javelin 2015 senza che la cosa suscitasse particolari reazioni nel parlamento italiano benchè lo spirito dell’esercitazione fosse sempre quello di “rincuorare” i baltici circa il supporto degli alleati.
La necessità di mostrare la solidarietà ai partner orientali dell’alleanza nasce dai timori dei Paesi dell’Europa Orientale che hanno storicamente subito le mire espansionistiche dei russi (e dei tedeschi) e dalla campagna propagandistica condotta da anni contro Mosca dagli anglo-americani, non a caso i principali “azionisti” della Nato.
L’invio di soldati italiani in Lettonia “non fa parte di una politica di aggressione verso la Russia, ma di rassicurazione e difesa dei nostri confini come Alleanza Atlantica” ha detto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni.
“Pensiamo che con la Russia si debba dialogare” ha detto il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ricordando che la decisione “di avere delle forze di rassicurazione nei paesi baltici, temporanee e a rotazione, è stata assunta a Varsavia” al vertice della Nato di luglio dove Roma offrì 140 militari, un contingente che la stessa Pinotti ha definito “non molto consistente”.
Difficile comprendere le polemiche di oggi dopo che, in luglio, l’annuncio dell’invio dei militari in Lettonia non aveva provocato particolari reazioni. Stupisce poi che a scatenare l’acceso dibattito politico sia stata soprattutto l’intervista rilasciata alla Stampa dal segretario generale della Nato, Jeans Stoltenberg in cui si evidenzia il ruolo dell’Italia che tra due anni assumerà il comando della forza di reazione ultrarapida della Nato.
Stoltenberg ha legato il dispiegamento delle forze alleate nei Paesi Baltici alla minaccia di Mosca, sempre più imprevedibile e responsabile di aver dispiegato missili che possono essere armati con testate nucleari vicino ai confini europei”. Il riferimento è ai missili balistici Iskander (nella foto a sinistra) a Kaliningrad ma non ci si poteva certo aspettare che il segretario generale ricordasse le numerose cause dell’irritazione russa.
Il progressivo ampliamento della Nato e del suo raggio d’azione per destabilizzare i confini orientali e meridionali della Russia (dall’Ucraina alla Georgia), lo schieramento dello “scudo antimissile” Usa in Polonia e Romania con radar in grado di esplorare in profondità lo spazio aereo di Mosca e lanciatori idonei a imbarcare non solo vettori anti-missile ma anche ben più offensivi missili da crociera.
Senza dimenticare il “golpe” del Maidan in Ucraina teso a sottrarre il Paese attraversato da gasdotti che riforniscono l’Europa all’orbita russa per impedire a Mosca di continuare a essere una potenza europea (come sottolineò già negli anni ’90 Zbigniew Brzezinski) e per portare in prospettiva i confini della Nato a 300 chilometri da Mosca.
Non ultimo poi il tentativo occidentale di abbattere Assad in Siria, dove Mosca ha l’unica base navale nel Mediterraneo: obiettivo che vede Londra e Washington parlare apertamente di “opzioni militari” contro le forze di Damasco che inevitabilmente coinvolgerebbero i russi e favorirebbero quelli che ormai dovremmo definire i nostri “alleati” islamisti dei movimenti Salafiti, Fratelli Musulmani e al-Qaeda (o ex) che, come lo Stato Islamico, vogliono una Siria dominata dalla sharia.
Per fomentare la paura dell’orso russo negli ultimi mesi think-tank e comandi Nato hanno addirittura ipotizzato un’offensiva russa che in 36/6o ore potrebbe conquistare le tre Repubbliche Baltiche (nella mappa a sinistra): ipotesi ridicola ma spauracchio utile a convincere gli europei a mobilitarsi e incrementare le spese militari.
Per Stoltenberg “serve un’Alleanza forte non per provocare una guerra, ma per prevenirla” a causa degli “enormi investimenti fatti dalla Federazione russa sulla Difesa” negli ultimi anni.
Se in termini percentuali Mosca spende per la difesa il 4 per cento del PIL (quasi quanto gli USA) e punta a raggiungere il 5 per cento l’anno prossimo, i dati finanziari dicono però che la spesa militare russa è stata nel 2015 di circa 100 miliardi di dollari, cioè sei volte di meno degli USA (618 miliardi) e quasi 9 volte meno della spesa complessiva della Nato che somma il bilancio degli Stati Uniti ai 253 miliardi stanziati dai membri europei della Nato per un totale di 871 miliardi, cioè più della metà dei 1676 miliardi di dollari che secondo l’istituto di ricerche Sipri di Stoccolma sono stati stanziati l’anno scorso in tutto il mondo per la spesa militare.
Non sorprende perciò che Maria Zakharova (nella foto a lato), portavoce del ministero degli esteri russo, abbia definito “distruttiva” la politica della Nato, impegnata a costruire “nuove divisioni in Europa invece che profonde e solide relazioni di buon vicinato”.
Del resto l’attuale crisi evidenzia il nervosismo dell’Amministrazione statunitense e del resto non si era infatti mai visto un presidente ormai a fine mandato così aggressivo. Contro lo Stato Islamico non ha combinato molto ma in compenso fa di tutto per far sopravvivere le milizie jihadiste in Siria e ha dato il via nelle ultime settimane a interventi militari, come sempre limitati e non risolutivi, prima in Libia con i raid a Sirte iniziati in agosto, poi nello Yemen pochi giorni or sono.
A poche settimane dal suo trasloco dalla Casa Bianca, Obama ha reso noto di considerare “opzioni militari” in Siria contro le forze di Bashar Assad e ha minacciato attraverso le parole del vice presidente Joe Biden di attuare attacchi cyber contro Mosca. L’arma cyber è per sua natura furtiva, nessuno ne ha mai rivendicato l’impiego, figuriamoci preannunciarlo: per questo il dinamismo dialettico di Obama e del suo entourage in scadenza è un segnale di debolezza (come dimostrano anche le ripetute dichiarazioni a sostegno di Hillary Clinton e contro Donald Trump) e della precisa determinazione di mobilitare gli europei contro Mosca.
Anche in Italia il dibattito politico è reso più conflittuale dall’avvicinarsi del referendum costituzionale, ma non saranno 140 alpini in Lettonia a modificare l’assetto politico di Roma nei confronti della crisi tra USA/Nato e Russia. Il governo Renzi è da sempre critico nei confronti degli anglo-americani, i maggiori “azionisti” della Nato che soffiano sul fuoco dei timori russofobi di baltici, polacchi, rumeni e bulgari.
In ambito europeo l’Italia chiede da tempo la fine delle sanzioni economiche a Mosca ma per comprendere la posizione di Roma rispetto allo schieramento di forze militari in Lettonia occorre tenere conto di almeno due valutazioni. La prima è che Renzi è già impegnato in un braccio di ferro con Berlino teso a modificare le politiche economiche e finanziarie della Ue dettate dalla Germania. Una battaglia impegnativa a cui Renzi non può permettersi di aggiungere uno scontro con Stati Uniti e Nato sul “fronte russo”.
Occorre inoltre ricordare che al vertice di Varsavia il governo italiano non poteva sottrarsi a un impegno simbolico nella forza di reazione rapida dopo aver chiesto agli alleati di impegnarsi sul “fronte sud” dove siamo esposti al crescente caos libico e ai flussi di immigrati illegali. Non a caso il Presidente Sergio Mattarella ha ricordato giovedì a Stoltenberg che l’Italia sopporta da sola il peso dei flussi migratori sollecitando la Nato a “implementare la sua strategia verso il Mediterraneo”.
Gli obiettivi di un eventuale intervento Nato nelle acque tra la Sicilia e la Libia restano però tutti da chiarire. Senza una decisa politica di Roma basata sui respingimenti il rischio è che una flotta Nato si limiti a fare quello che già fanno le unità navali italiane ed europee: raccogliere dai gommoni i clandestini per sbarcarli in Italia.